Ricorso della regione Lombardia, in persona  del  presidente  della
 giunta  regionale  ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato con delibera
 della giunta regionale n. 18246 del 28 gennaio 1992, rappresentato  e
 difeso  dagli  avvocati  prof.  Valerio  Onida  e Gualtiero Rueca, ed
 elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in  Roma,  largo  della
 Gancia,  1,  come  da  delega  a margine del presente atto, contro il
 Presidente  del   Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore   per   la
 dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale   dell'art.   2,
 undicesimo comma, della legge 31 dicembre 1991,  n.  415,  contenente
 "disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
 dello Stato (legge finanziaria  1992)",  pubblicata  nel  supplemento
 ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 1991.
    L'art.  15  della  legge  29  marzo  1983, n. 93 (legge quadro sul
 pubblico  impiego)  stabilisce,  come  e'  noto,  che  nel   bilancio
 pluriennale  dello  Stato  "viene  indicata  la  spesa destinata alla
 contrattazione collettiva per  il  triennio,  determinando  la  quota
 relativa  a  ciascuno  degli anni considerati" (secondo comma); e che
 "l'onere derivante dalla contrattazione collettiva sara'  determinato
 con  apposita  norma  da inserire nella legge finanziaria, nel quadro
 delle indicazioni del comma precedente" (terzo comma). Gli ultimi due
 commi  dello  stesso  art.  11   stabiliscono   rispettivamente   che
 "all'onere  derivante  dalla  applicazione delle norme concernenti il
 personale statale si provvede mediante corrispondente riduzione di un
 apposito fondo, che sara' iscritto  nello  stato  di  previsione  del
 Ministero del tesoro, la cui misura sara' annualmente determinata con
 apposita   norma   da   inserire  nella  legge  finanziaria",  e  che
 "analogamente provvederanno per i propri bilanci le regioni, le prov-
 ince  e  i  comuni  nonche'  gli  enti  pubblici non economici cui si
 applica" la legge quadro medesima.
    Fino ad oggi l'interpretazione  e  l'applicazione  di  tale  norma
 erano  state nel senso che la legge finanziaria determinava gli oneri
 relativi alla contrattazione collettiva  per  l'insieme  di  tutti  i
 dipendenti  pubblici soggetti al sistema della legge n. 93/1983, e ne
 disponeva il finanziamento,  prevedendo  sia  lo  stanziamento  delle
 somme  necessarie  a  coprire gli oneri diretti a carico dello Stato,
 sia quello delle somme necessarie a coprire gli oneri a carico  degli
 altri  enti  del settore pubblico allargato, ivi comprese le regioni,
 gli enti locali e le u.s.l.,  prevedendo  il  trasferimento  di  tali
 somme  agli enti medesimi. La previsione dell'ultimo comma del citato
 art. 15, secondo cui regioni, province  e  comuni  provvedono  per  i
 propri  bilanci,  era  costantemente  intesa  nel  senso che in detti
 bilanci dovesse tenersi conto sia delle  somme  che  sarebbero  state
 trasferite a tale titolo dallo Stato, sia delle spese corrispondenti.
    Cosi',  gia'  in  relazione  ai contratti per il triennio 1985-87,
 l'art. 1, decimo comma, della legge 22 dicembre 1986, n.  910  (legge
 finanziaria   1987),   quantificava  l'intera  spesa  per  i  rinnovi
 contrattuali.
    L'art. 2, decimo comma, della  legge  24  dicembre  1988,  n.  541
 (legge  finanziaria  1989)  stabili'  che  l'autorizzazione  di spesa
 recata, ai fini di  quanto  disposto  dall'art.  15  della  legge  n.
 93/1983,  dall'art.  1,  nono  comma,  della  legge n. 67/1988 (legge
 finanziaria 1988), autorizzazione "relativa ai  rinnovi  contrattuali
 per  il  triennio 1988-90 del personale delle amministrazioni statali
 ..,  degli  enti  locali,  della  ricerca  e  della  sanita'",  fosse
 integrata  da  determinate  somme per l'anno 1989 e rispettivamente a
 decorrere dal 1990. Tali somme - continuava la disposizione  -  "sono
 iscritte  nell'apposito fondo istituito nello stato di previsione del
 Ministero del tesoro".
    Parimenti l'art. 1, nono comma, della legge 27 dicembre  1989,  n.
 407  (legge finanziaria 1990), stabili' che l'autorizzazione di spesa
 recata, "ai fini di quanto disposto dall'art. 15 della legge 29 marzo
 1983, n. 93, dall'art. 1, nono comma, della legge 11 marzo  1988,  n.
 67" (legge finanziaria 1988), e "relativa ai rinnovi contrattuali per
 il  triennio  1988-90  del personale delle amministrazioni statali ..
 degli enti locali, della ricerca e della sanita'", fosse integrata di
 3500 miliardi dal 1990 e di ulteriori 1500 miliardi dal 1991,  e  che
 tali  somme  fossero  iscritte  "nell'apposito  fondo istituito nello
 stato di previsione del Ministero del tesoro".
    Infine il d.-l. 24 novembre 1990,  n.  344,  convertito  in  legge
 dalla   legge   23   gennaio   1991,   n.  21,  nel  disciplinare  la
 "corresponsione ai pubblici dipendenti di acconti  sui  miglioramenti
 economici  relativi al periodo contrattuale 1988-90", non si limitava
 a disporre la corresponsione di un acconto mensile  al  personale  di
 tutti  i  comparti,  compreso quello del personale regionale e locale
 (cfr. Art. 1, quarto comma), ma stabiliva che  fossero  integrati  "i
 trasferimenti  dello  Stato  previsti dalle disposizioni vigenti": in
 particolare di 282 milioni "per le regioni a  statuto  ordinario,  da
 ripartirsi  in  proporzione  alle quote attribuite a ciascuna regione
 per l'anno 1989 a titolo  di  fondo  comune  regionale",  e  di  2678
 miliardi   "per   gli  enti  del  servizio  sanitario  nazionale,  da
 attribuirsi con le stesse modalita'  del  fondo  sanitario  di  parte
 corrente per l'anno 1990".
    Che,  d'altra parte, il reperimento delle risorse per la copertura
 degli oneri derivanti dai rinnovi  contrattuali  dovesse  far  carico
 allo  Stato,  era logico e inevitabile, in un sistema in cui la legge
 prevede che  il  trattamento  di  tutti  i  dipendenti  pubblici  sia
 disciplinato  non  solo secondo principi di omogeneizzazione (art. 4,
 legge n. 93/1983), ma sulla base di accordi sindacali nazionali (art.
 5 e segg. della legge n. 93/1983); affida al Consiglio  dei  Ministri
 la "verifica delle compatibilita' finanziarie" prima della emanazione
 delle  norme risultanti dagli accordi per tutti i comparti (cfr. Art.
 6, ottavo comma; art. 7, secondo comma; art. 8, secondo  comma;  art.
 9,  secondo  comma;  art.  10, secondo comma, della legge n. 93/1983,
 art. 4, nono comma, ultima parte, legge 30 dicembre  1991,  n.  412);
 attribuisce  al  Governo  la  guida  e  la  posizione sostanzialmente
 determinante nelle delegazioni di parte pubblica  che  negoziano  gli
 accordi,  anche  quelli relativi ai dipendenti del servizio sanitario
 nazionale (art.  4,  nono  comma,  della  legge  n.  412/1991)  e  ai
 dipendenti delle regioni ordinarie (art. 10, primo comma, della legge
 n. 93/1983); riserva ad una contrattazione nazionale fra il Governo e
 le  confederazioni  sindacali  maggiormente rappresentative sul piano
 nazionale la stessa determinazione del numero  e  della  composizione
 dei comparti (art. 5, secondo comma, della legge n. 93/1983).
    A  tale  proposito  e'  da sottolineare il fatto che, con d.P.R. 5
 marzo 1986, n. 68, il personale delle regioni a statuto  ordinario  e
 degli enti pubblici non economici da loro dipendenti e' stato incluso
 in  un unico comparto insieme al personale dei comuni, delle province
 e degli enti locali (artt. 1, n. 3, e 4): cosi' che, al  di  la'  dei
 diversi  meccanismi  di  recepimento  e  di  attuazione degli accordi
 medesimi, la delegazione di  parte  pubblica  che  negozia  l'accordo
 relativo  a  tale  comparto  vede  i  rappresentanti delle regioni in
 posizione del tutto minoritaria e non determinante (art.  4,  secondo
 comma),  tenendo anche conto del fatto che il personale delle regioni
 e' numericamente molto  piu'  esiguo  di  quelli  degli  enti  locali
 minori.
    Per  quanto  poi  riguarda  il  personale della sanita', gli oneri
 derivanti dai contratti debbono essere finanziati a carico del  fondo
 sanitario nazionale, che e' annualmente determinato nella sua entita'
 da decisioni legislative dello Stato, e viene dallo stato distribuito
 alle  regioni per essere a sua volta ripartito fra le u.s.l. (art. 51
 della legge 23 dicembre 1978, n. 833).
    Tutto cio' comporta come conseguenza  logica  -  e  ha  comportato
 nella  prassi  applicativa,  come  si  e' detto - che il Governo e il
 Parlamento nazionale  si  facessero  carico,  in  vista  dei  rinnovi
 contrattuali,  dei  maggiori oneri che da essi sarebbero scaturiti, e
 del  trasferimento  delle  relative  somme  agli  enti  dei  comparti
 considerati.
    Ora,  inopinatamente,  l'art.  2,  undicesimo  comma,  della legge
 finanziaria per il 1992 dispone che  "ai  sensi  di  quanto  previsto
 dall'art.  15,  ultimo  comma,  della  legge 29 marzo 1983, n. 93, le
 regioni e gli enti pubblici non  economici  da  esse  dipendenti,  le
 unita'  sanitarie  locali,  gli  enti  locali e gli enti pubblici non
 economici, le istituzioni e gli enti di  ricerca  diversi  da  quelli
 indicati  nel nono comma, provvedono a iscrivere nei bilanci relativi
 agli anni 1992, 1993, e 1994 le risorse occorrenti  al  finanziamento
 dei rinnovi contrattuali per il triennio 1991-93", da contenere entro
 certi  limiti: senza prevedere alcuna integrazione degli stanziamenti
 statali ne' alcun trasferimento di somme agli enti interessati.
    Tale  disposizione  appare  illegittima  e  lesiva  dell'autonomia
 finanziaria  della  regione  e contrasta con l'art. 81, quarto comma,
 della Costituzione, nonche' con l'art. 27 della legge n.  468/1976  e
 con l'art. 2, sesto comma, della legge n. 158/1990.
    Essa infatti, in primo luogo, accolla ai bilanci delle regioni gli
 oneri  derivanti  dal  rinnovo  contrattuale  relativo  al  personale
 regionale.
    Tale accollo avviene pero' senza che sia prevista -  come  invece,
 secondo quanto si e' visto, era accaduto finora - alcuna integrazione
 dei trasferimenti a favore delle regioni.
    Non varrebbe replicare che l'art. 15, ultimo comma, della legge n.
 93/1983  prevede  che  siano  le  regioni  a  provvedere per i propri
 bilanci agli oneri derivanti  dagli  accordi.  Infatti,  come  si  e'
 detto,   tale   previsione  non  esclude  affatto,  ma  anzi  implica
 necessariamente  che  lo  Stato,  da  cui  sostanzialmente  dipendono
 contenuti  ed esiti della contrattazione, attribuisca alle regioni le
 risorse aggiuntive necessarie per fronteggiare i nuovi oneri.
    Diversamente  si  verificherebbe  proprio  l'ipotesi   contemplata
 dall'art.  2,  quinto  comma,  della legge n. 158/1990, secondo cui i
 provvedimenti statali che, "direttamente o indirettamente" comportano
 nuove  funzioni  o  compiti  per  le  regioni  o  modifichino  quelli
 esistenti  "aggravandone  gli oneri di gestione" debbono "indicare le
 risorse occorrenti per la loro adeguata copertura".
    Nemmeno varrebbe replicare che la disposizione impugnata  pone  un
 limite  massimo  al  finanziamento dei rinnovi contrattuali, poiche',
 come si e' ricordato, in realta' il contratto nazionale, relativo non
 al solo personale regionale ma anche a  quello  assai  piu'  numeroso
 degli  enti  locali, e stipulato da una delegazione di parte pubblica
 in cui le regioni hanno un ruolo minoritario, costituisce un  vincolo
 non  eludibile per la finanza regionale: onde la regione, in realta',
 si trova non solo a fronteggiare sicuri nuovi oneri,  senza  disporre
 di  ulteriori  risorse,  ma  a  fronteggiare  oneri che essa non puo'
 determinare ne' contenere.
    Non e' detto del resto che i limiti previsti dalla  legge  statale
 per  gli  oneri relativi ai rinnovi contrattuali siano poi rispettati
 nella contrattazione. Se, come spesso  e'  accaduto  in  passato,  il
 contratto  comportasse  oneri superiori al limite prefissato, non per
 questo la Regione potrebbe sottrarsi a tali oneri, se non  altro  per
 evidenti  ragioni  di  omogeneita' di trattamento, data anche la gia'
 rilevata circostanza che il personale  regionale  e'  incluso  in  un
 unico  comparto insieme al personale degli enti locali, e unico e' il
 contratto.
    Ancora piu' palese e'  la  violazione  dell'autonomia  finanziaria
 regionale  e  dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione per cio'
 che riguarda gli oneri relativi al personale delle  unita'  sanitarie
 locali,  per  il quale la disposizione impugnata prevede che siano le
 u.s.l. stesse a iscrivere nei propri bilanci le  risorse  occorrenti,
 senza  pero'  prevedere  alcun  incremento  dei fondi statali ad esse
 destinati.
    Le  u.s.l.,  come  e'  ben  noto,  hanno  la  loro  unica fonte di
 finanziamento  nel  fondo  sanitario  nazionale,  ripartito  fra   le
 regioni;  e  negli  ultimi  anni  lo Stato, pur non rinunciando a uno
 stretto controllo centralizzato dei vari fattori di spesa (cosi'  del
 trattamento  del  personale e delle assunzioni nelle u.s.l.), ha teso
 ad addossare alle regioni quote crescenti dei  disavanzi,  cioe'  del
 divario  che  si  palesa fra fabbisogno di spesa delle u.s.l. (in cui
 l'onere per il personale ha una parte preponderante)  e  entita'  del
 fondo  nazionale  (cfr.  da  ultimo gli artt. 2- bis e 3 del d.-l. 15
 settembre 1990, n. 262, sul quale questa Corte si e' espressa con  la
 sentenza  n. 283/1991; nonche' l'art. 2, quinto comma, della legge n.
 412/1991, ai cui sensi, in  caso  di  spesa  sanitaria  "superiore  a
 quella   parametrica   correlata  ai  livelli  obbligatori  uniformi"
 stabilita dallo stato  con  riguardo  a  parametri  capitari  e  alla
 popolazione  residente,  sono  le  regioni  a  dover  provvedere alla
 copertura dell'onere).
    In questa situazione normativa e' evidente che gli oneri derivanti
 dal rinnovo del contratto per  il  personale  della  sanita'  debbono
 essere finanziati a carico del bilancio statale.
    Viceversa la disposizione impugnata omette qualsiasi previsione di
 integrazione  a  tale  scopo  del  fondo sanitario nazionale: onde la
 previsione dell'obbligo per le u.s.l. di iscrivere nei propri bilanci
 le risorse occorrenti al finanziamento del  rinnovo  contrattuale  si
 traduce  puramente  e  semplicemente nell'addossare alla regione tale
 nuovo onere, senza attribuzione di corrispondenti  risorse.  Cio'  in
 palese  e  testuale  contrasto,  fra  l'altro,  con l'art. 15, ultimo
 comma, della legge n. 93/1983  (pure  richiamato  in  apertura  della
 disposizione  impugnata)  il  quale,  mentre  per regioni, province e
 comuni prevede che essi provvedano "per i  propri  bilanci"  (il  che
 pero'  non  significa  che possa mancare, ma anzi implica, come si e'
 detto,  il  corrispondente  finanziamento  statale),  per  le  unita'
 sanitarie  locali  -  il  cui  sistema  di  finanziamento  e' fondato
 esclusivamente sulle risorse attribuite  dalla  regione  in  sede  di
 riparto  del  fondo nazionale - non prevede alcun adempimento e tanto
 meno alcun obbligo di provvedere nei propri bilanci  in  ordine  agli
 oneri derivanti dagli accordi.
    Onde    per    quanto    riguarda   il   personale   sanitario   -
 indipendentemente da quanto si e' prima osservato e  che  vale  anche
 per il personale regionale - la disposizione in questione si presenta
 incontrovertibilmente    come    una   disposizione   che   accresce,
 indirettamente, gli oneri di gestione -  gravandone  in  sostanza  la
 regione,  in  forza  dei  meccanismi di cui si e' detto - senza pero'
 prevedere alcuna copertura,  ne'  in  via  autonoma,  ne'  attraverso
 l'integrazione  del  fondo sanitario nazionale, cosi' come era invece
 avvenuto, da ultimo, con l'art. 2, lett.  b),  del  citato  d.-l.  n.
 344/1990,  che  aveva  integrato i trasferimenti dello Stato al fondo
 sanitario  nazionale  in  relazione  all'accordo  sindacale  per   il
 triennio 1988-90.